L’elogio della lentezza. Questa è l’estrema sintesi di questo manoscritto. Non la lentezza come valore in sé – a volte è necessario correre, essere precisi e rapidi o bisogna semplicemente scappare avendo gambe buone. Questa lentezza è invece la (ri)scoperta di se stessi, di qualcosa che prima facevamo spesso e alla quale ora ci dedichiamo più raramente. Due di queste sono, senza alcun dubbio, la lettura e la scrittura. Un’altra è certamente il semplice conversare con le persone. Corriamo, le ignoriamo tante volte, ma magari loro invece vogliono dirci qualcosa. In un mercatino di Londra mi fermo a guardare questa meravigliosa agendina e sento una persona, vicino a me dire: “queste agendine sono in vera pelle”. A due passi due ragazze cinesi lo sentono ma non lo degnano di una sguardo. Lui allora mi fa “sai quanta gente non ascolta quello che dico ogni giorno? Io spiego che sono in pelle perché magari sono vegane e non vogliono avere un qualcosa di derivazione animale”. Cominciamo allora a parlare, mi fa vedere altre agende e poi di mi dice che è Bulgaro e che gli sarebbe piaciuto venire a visitare la mia parte d’Italia. Ci scambiamo i contatti e sono certo che la lentezza, il fermarsi a parlare abbia giovato a entrambi. Ma la lentezza è anche nella gestazione delle cose, della creazione. E chi meglio del genio di Kubrick può rappresentare la lentezza? La ricerca della perfezione, lo studio infinito solo per rappresentare una idea… quale dedizione deve esserci in questo? Io ed Emanuele assecondiamo questa lentezza e ci perdiamo nelle stanze che raccontano la sua vita, in una delle mostre più interessanti che abbia visitato in tutta la mia quarantennale vita. E lì comincia il mio ritorno alla lentezza, a un passato bello, diverso da questo presente, ma altrettanto interessante, in cui spendevo ore e ore e ore e giorni e settimane infinite perso nelle mie letture arrivando a leggere 70 romanzi in un anno ai tempi dell’università. E ho capito quanto mi mancavano quei momenti solitari nei quali evadevo dal mondo reale per entrare nelle storie che leggevo. Approfittando di un pomeriggio speso a fotografare, per lavoro, portoni nel centro di Londra, camminando per quasi 20 km, sono ritornato nella Londra dei miei studi, delle storie della letteratura inglese, nei miei Neil Gaiman, Arthur Clarke e lei, la mia Ursula K. Le Guin della quale ho comprato in una delle meravigliose librerie inglesi gli unici due romanzi che non avevo letto e sono tornato alla lentezza, alla carta, alla pioggia che mi bagnava ma ero felice mentre parlavo a casa ed ero contento di lì a poco di poter rivedere la mia famiglia. E poi, chiudere una giornata surreale, in un luna park. Un luna park. Senza un perché, ma certamente con tutta la lentezza necessaria.