Ci sono molte cose che accomunano tutti gli esseri umani. Gli istinti primari come il nutrirsi o il riprodursi, la paura, la felicità. Prima di nascere, ma anche dopo, siamo in costante stretto contatto con l’acqua. Gran parte del nostro corpo è letteralmente piena di liquidi e possiamo sopravvivere diversi giorni senza mangiare, variabili a seconda del nostro grado di pinguedine, ma resistiamo per un tempo molto limitato senza bere. Avete mai provato a chiudere gli occhi davanti a un mare in tempesta, col vento che sibila assordante e il freddo che vi abbraccia in modo poco amichevole? Percepirete una cosa sola: il rumore dell’acqua. Non vi preoccuperete del vento che vi sposta o del freddo. No. Avrete paura di finire in acqua. Perché da lì siamo arrivati, siamo letteralmente venuti al mondo “dalle acque”. Ma definirla paura è riduttivo. E’ in realtà il sublime che ci spaventa, ma ci attrae allo stesso tempo. La forza dell’oceano che ci calamita verso di esso. Acqua per noi senza vita, acqua che non ci dà nutrimento, ma che allo stesso tempo, con il suo ciclo vitale, ci permette di abitare questo pianeta. Ho sempre trovato affascinante l’idea dell’essere persi in mare su di una zattera, con tanta acqua attorno a noi, ma senza alcuna possibilità di berla. La letteratura è così piena di questo argomento che mi pare pleonastico il provare a citare delle fonti. Cosa c’è di più straordinariamente stimolante del rumore del mare, sia esso spaventoso e placidamente calmo? Nulla. Ora chiudo gli occhi, appoggio la schiena sul granito rosa del faro e ascolto il mare. Che sia alta o bassa marea è un’altra storia.